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Danno esistenziale, la definizione giuridica del danno dinamico-relazionale

Danno esistenziale, la definizione giuridica del danno
dinamico-relazionale

L’evoluzione interpretativa della restrittiva lettura dell’art. 2059 c.c. avvenuta nel 2003.

Introduzione e origine

La definizione di danno dinamico-relazionale, anteriormente definito danno esistenziale, vide la luce negli anni Ottanta del secolo scorso, ossia quando gli operatori del diritto acquisirono la consapevolezza che il danno biologico, nella sua accezione di lesione del diritto all’integrità fisica e psichica del danneggiato non poteva più essere utilizzato quale contenitore indistinto utile a racchiudere qualsiasi genere di alterazione del benessere del danneggiato, con tutti i problemi di genericità che tale soluzione comportava.

Pertanto, si prese atto, progressivamente, del fatto che l’impostazione sistemica antecedente impediva di considerare da un punto di vista risarcitorio ogni pregiudizio che il danneggiato potesse subire.

I giudici di merito, nonché quelli di legittimità, dovevano sempre maggiormente affrontare le domande risarcitorie su aspetti dannosi riguardanti la sfera esistenziale piuttosto che quella inerente esclusivamente alla lesione biologica.

Nello specifico, grazie al fondatore della cosiddetta “scuola triestina” fu delineato il concetto di danno esistenziale, il quale da un’indagine sui rapporti che sussistono tra l’infermità di mente e la responsabilità civile ricavò l’elaborazione della teoria del suddetto danno.

Dalla suesposta elaborazione si generò però una figura del danno esistenziale con caratteristiche talmente esclusive che si arrivò al punto di considerarlo onnicomprensivo di tutti i danni non patrimoniali, definendolo esageratamente come una categoria unificante di tutti i danni inerenti alla persona.

Quindi, lo stesso danno biologico venne considerato una sottocategoria del danno esistenziale.

L’evoluzione interpretativa della restrittiva lettura dell’art. 2059 c.c. avvenuta nel 2003

Tra il 2000 e il 2003 ci fu un rilevante aumento delle figure di danno non patrimoniale considerate risarcibili dai giudici di merito e di legittimità.

In particolare, con le famose “sentenze gemelle” della Suprema Corte di Cassazione, nn. 8827 e 8828, i cui principi fondanti furono ribaditi dalla pronuncia n. 233/2003 della Corte costituzionale, avvenne una decisa svolta nell’interpretazione giuridica dei danni alla persona.

I succitati principi segnarono una vera e propria rivoluzione interpretativa, con la stessa efficacia che avrebbe avuto una riforma legislativa, in quanto ridisegnarono la struttura del danno alla persona.

Quindi, ci fu un’innovativa apertura a nuove figure risarcitorie, come quella derivante dal danno esistenziale.

In sostanza, la lettura dell’art. 2059 c.c. ricomprese nel suo campo di applicazione tanto le fattispecie previste dalla legge ordinaria quanto tutte quelle causate da un fatto illecito determinante la lesione dei diritti fondamentali e quindi inviolabili, della persona, ossia quei diritti garantiti e tutelati dalla Costituzione italiana.

Invero, le sentenze gemelle del 2003 hanno permesso di intendere l’art. 2059 c.c. in un senso più esteso, dove includere il danno biologico e tutte le altre fattispecie di danno non patrimoniale, come il danno esistenziale.

Per la prima volta, il danno esistenziale è considerato risarcibile grazie a una rilettura, con attenzione costituzionale, dell’art. 2059 c.c., prevedendo la sua risarcibilità oltre che in presenza di una lesione del diritto alla salute ex art. 32 Cost., anche quando avviene la violazione dei diritti inviolabili dell’uomo previsti dall’art. 2 della Costituzione.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione dovevano essere risarciti tutti i danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch’essi, come gli altri, di natura non patrimoniale.

Infatti, per la Suprema Corte la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere tendenzialmente riguardata non tanto come un’occasione per incrementare in modo generalizzato la posta del danno, ma come strumento per colmare la lacuna della superata interpretazione nella tutela risarcitoria della persona, che deve essere ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale.

Il danno non patrimoniale deve contenere sia il danno biologico sia il danno morale soggettivo sia tutti gli ulteriori diversi pregiudizi conseguenti della lesione di un interesse costituzionalmente protetto e garantito.

In seguito, a distanza di pochi giorni dalle succitate sentenze gemelle, la Corte costituzionale è intervenuta nel merito stabilendo da un lato che può dirsi superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c. andrebbe indentificato con il suddetto danno morale soggettivo e precisando dall’altro lato come fosse stato ricondotto a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, con la prospettazione di un’interpretazione costituzionale orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona.

Pertanto, sia il danno morale soggettivo, nella sua accezione di transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima sia il danno biologico, considerato come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona e sia il danno dinamico-relazionale, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale riguardanti la persona, sono da annoverare come tipologie del generico danno non patrimoniale e quindi devono essere considerate come sue accezioni che lo completano in modo integrale.

Quindi, si conferma la risarcibilità del danno biologico-psichico, del danno morale soggettivo e anche del danno esistenziale, ma allo stesso tempo si precisa che il danno non patrimoniale, nella sua accezione di danno-conseguenza e non di danno-evento, rappresenta una categoria generale unitaria, la cui ripartizione nelle suesposte tre fattispecie risponde a mere esigenze di classificazione.

Il danno non patrimoniale insieme al danno patrimoniale costituisce il sistema bipolare che rappresenta le fondamenta su cui si regge l’attuale sistema risarcitorio.

Dalla declinazione di questo sistema risarcitorio si evince il modus agendi per il riconoscimento della risarcibilità applicato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato che in assenza di reato e al di fuori dei casi determinati dalla legge, i pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

Ciò avviene, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di un congiunto, il cosiddetto danno da perdita del rapporto parentale.

Infatti, il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29, 30 Cost.).

In questo caso, vengono in considerazione pregiudizi che, essendo attinenti all’esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi come un’autonoma categoria di danno.

Inoltre, altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale della persona, ma non conseguenti a una lesione psicofisica e per questo rientranti nell’ambito del danno biologico, saranno risarcibili, purché siano conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona diverso dal diritto all’integrità psicofisica (danno biologico).

Conclusioni

Con la sentenza n. 1361 del 2014, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito la risarcibilità del danno esistenziale, evidenziando che le Sezioni Unite del 2008 in alcun modo avevano negato che il danno esistenziale potesse essere risarcibile come danno non patrimoniale.

Nello specifico, i giudici della Cassazione hanno statuito che al contrario di quanto sostenuto dai primi
commentatori e da una certa giurisprudenza di legittimità, deve escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiano negato la configurabilità e la rilevanza a fini risarcitori anche del cosiddetto danno esistenziale.

Pertanto, secondo la sentenza sopra riportata, il danno non patrimoniale possiede una natura giuridica composita, declinata con una pluralità di accezioni, come il danno biologico, il danno morale e infine il danno esistenziale.

Per l’ottenimento del pieno risarcimento, nel suo complessivo ammontare, dovuto al danneggiato per aver subito un danno non patrimoniale, non si può non computare ciascuna voce che lo caratterizza, affinché venga evitato un incostituzionale vuoto risarcitorio.

Oltre che dal danno biologico e dal danno morale, il contenuto del danno non patrimoniale è completato, quindi, dal danno esistenziale.

Il danno esistenziale rappresenta un pregiudizio di natura rilevabile in modo oggettivo che non riguarda la sfera emotiva e interiore del soggetto (danno morale), ma riguarda il fare areddituale, ossia il “non poter più fare come prima”.

Ciò avviene in quanto, a causa del manifestarsi del danno esistenziale, si alterano, come conseguenza, le abitudini personali del danneggiato e i propri equilibri relazionali, vincolando il medesimo a compiere scelte di vita diverse, con una limitata realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.

In altre parole, il danno dinamico-relazionale consiste in un’alterazione/cambiamento della propria personalità, causata dallo sconvolgimento dell’esistenza del danneggiato ed è proprio questa connotazione che ne determina la diversità e di conseguenza la sua autonomia, rispetto agli altri danni non patrimoniali, come il danno biologico e il danno morale.

I pregiudizi esistenziali sono suscettibili di risarcibilità anche in mancanza di reato e al di fuori dei casi previsti dalla legge a condizione che essi siano la conseguenza di una lesione di un diritto inviolabile della persona, anche se non conseguenti a una lesione psicofisica.

Al postutto, secondo la Corte di legittimità il danneggiato ha l’onere di allegare e provare di aver subito il danno esistenziale, ex art. 2697 c.c..

Infatti, solo dopo che il giudice abbia accertato in modo puntuale e approfondito l’esistenza dei pregiudizi allegati, attestanti lo sconvolgimento esistenziale del danneggiato che deriva dal fatto illecito subito, il medesimo potrà vedersi riconoscere il risarcimento del danno esistenziale e quindi ottenere una riparazione integrale del danno non patrimoniale, senza che ci sia il pericolo di incorrere in una indebita duplicazione del risarcimento in oggetto.

 

A cura dell’avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

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