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Tribunale Potenza, 04/12/2023, n.1649

Massima

La fattispecie ex art. 612 c.p. è integrata poiché appare credibile, plausibile il resoconto della p.o., che rappresentava di aver subito minacce verbali dall’imputato “esasperato” dalla vertenza lavorativa in corso tra esso e il destinatario della minaccia di non “arrivare a Natale”.

Supporto alla lettura

Minacce

È un reato a forma libera, in quanto la condotta tipica può consistere in qualsiasi atto con cui l’agente annunci ad un altro soggetto un futuro male ingiusto. Sono, quindi, indifferenti le modalità con le quali la condotta criminosa venga posta in essere, purché siano idonee ad intimidire la persona a cui siano rivolte, ossia ad esercitare una restrizione dell’altrui libertà psichica. Per essere idonea a realizzare un effetto intimidatorio, la minaccia posta in essere dall’agente deve, pertanto, essere, innanzitutto, seria, ossia ragionevolmente verosimile per il soggetto passivo. Ciò significa, quindi, che la minaccia assurda o fantasiosa può essere idonea ad integrare il delitto in esame soltanto qualora sia rivolta ad una persona che, a causa del basso livello intellettuale o culturale, possa concretamente subirne degli effetti intimidatori.
La minaccia deve, poi, essere percepita o, quantomeno, percepibile da parte del soggetto a cui sia rivolta. A tal fine non è necessaria la presenza del soggetto passivo, essendo sufficiente che la minaccia pervenga o sia in grado di pervenire alla sua conoscenza.

Ambito oggettivo di applicazione

Con decreto del 19.01.2021 il GUP del Tribunale di Potenza disponeva il giudizio nei confronti dell’imputato Di.Ro., chiamato a rispondere, dinanzi al GM di questo Tribunale, per l’udienza del 10.05.2021, dei reati in rubrica contestati. In tale data si dava atto che le notifiche nei confronti della p.o. erano andate a buon fine, mentre non si era perfezionata quella nei confronti dell’imputato e se ne disponeva la rinnovazione.

Alla successiva udienza del 13 settembre 2021 si dava atto che la notifica nei confronti dell’imputato era andata a buon fine e, dunque, se ne dichiarava l’assenza. Stante l’assenza di questioni preliminari, si dichiarava aperto il dibattimento. Il Giudice ammetteva le prove dichiarative così come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti, disponendo, altresì, l’acquisizione della documentazione indicata dal PM, con rinvio al 31 gennaio 2022.

In tale giorno iniziavano le attività istruttorie e venivano escussi la p.c., La.Fa., del quale veniva acquisita anche la querela ai fini probatori, e i testi Mo.Lo. e Re.Ma.

Alla successiva udienza del 20 giugno 2022 le difese, congiuntamente, dichiaravano di aderire all’astensione indetta dalle Camere Penali ed il Giudice differiva il procedimento al 20 febbraio 2023.

Nel suindicato giorno proseguivano le attività istruttorie e venivano escussi i testi della difesa: Do.Fe. e Me.An., con rinvio al 17 luglio 2023, udienza nella quale la teste della difesa, Do.Al., era assente e vi era rinuncia da parte della difesa. All’udienza del 27 novembre 2023 si dichiarava chiusa l’istruttoria ed utilizzabili tutti gli atti acquisiti. Le parti illustravano le proprie conclusioni come in epigrafe riportate. Questa A.G. decideva, all’esito della Camera di Consiglio, come da separato dispositivo.

Diritto

Motivi della decisione

Ritiene questo Giudice che, all’esito dell’espletata istruttoria dibattimentale, debba essere pronunciata, ai sensi degli artt. 530 c.p.p. e 131 bis c.p., sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’imputato Di.Ro., in ordine al reato di cui all’art. 612 c.p., in quanto non punibile per particolare tenuità del fatto.

Ritiene, altresì, questa A.G. che le risultanze processuali non consentano di addivenire all’affermazione della penale responsabilità del giudicabile per essere carente la prova della commissione del fatto di cui all’art. 47 l. 895/67.

Le ragioni poste alla base di tale pronunciamento sono quelle che si vanno ad illustrare. Per ciò che concerne l’istruttoria orale si menzionano in primis le dichiarazioni rese dalla p.c., La.Fa., all’udienza del 31 gennaio 2022, il quale riferiva di aver visto la pistola il giorno del fatto e che l’imputato la aveva riposta in un borsello nero, “tipo beauty”, aperto da un lato.

Riguardo alla dinamica dei fatti precisava di essere stato invitato ad uscire fuori dall’ufficio dal Di., suo dipendente, “lui era in ferie ed è venuto… Quando io sono rientrato nel mio ufficio, l’ho trovato lì. Gli ho chiesto, ho detto: “Ro., ci sono novità?”. Perché sapevo che aveva fatto ricorso per quanto riguarda la mansione lui adibita. E mi ha detto: “No, nessuna novità”. Siccome io dovevo riuscire dall’ufficio, perché stavo facendo i lavori nel reparto, ho detto: “Ro., io devo andare fuori”. Ha detto: “No, io ti devo parlare. Ti aspetto fuori”. Cioè, fuori si intende fuori dal cancello, dall’azienda. (…) Sono uscito, ho fatto perno quattro – cinque minuti, perché nel frattempo mi era arrivata anche una telefonata. Ho risposto al telefono, ho interloquito con il mio superiore, signor Mo., cose di lavoro, e gli ho detto: “Lo., devo uscire che c’è Ro. che mi sta aspettando che mi vuole parlare”. Ha detto: “Ma perché?”, ho detto: “Non lo so, mi ha detto che mi vuole parlare, mo ‘ vado a vedere”. Sono uscito dal cancello e effettivamente lui era poco fuori, diciamo, dal cancello dell’azienda. Testuali parole, mi ha detto: “Hai visto?” … Io gli ho detto: “Ro., che c’è?”. “Hai visto, ho fatto il bravo”. Gli ho detto: “Ma che in senso?”, “Che voi mi avete detto di mettermi in ferie, io l’ho fatto. Però quello non era un consiglio, era una minaccia”. Gli ho detto: “Guarda, Ro., ti stai sbagliando. Assolutamente no – ho detto – non è cosi”. Ha detto: “No, no, per me era una minaccia”. Ho detto: “Va beh, pensala come vuoi, ma io ti dico che non era così, l’azienda ha cercato di venirti incontro”. A quel punto, siccome il Di. è molto più alto di me, io… Oltretutto io ero dalla parte… Essendo un po’ la strada in discesa, io ero dalla parte bassa, allora ho alzato gli occhi e lo guardavo. Era veramente stravolto, diciamo, con gli occhi proprio stravolti. Gli ho detto: “Ro., non è come dici tu”. E li lui è partito, ha detto… Avendo questo borsello… Ce lo aveva qua, era socchiuso, e ha fatto una prima volta, ha aperto con le dita così, ha aperto un po’ e mi ha detto: “Mettete a posto le cose per Natale, perché sennò non ci arrivate a Natale”. Io ho giralo, ha detto: “Guarda, vedi, vedi?”. Io ho abbassalo di nuovo gli occhi e avevo visto cosa c’era. Non ci volevo credere”.

A quel punto, Di. aveva aperto tutto il borsello ed aveva profferito le minacce di cui in imputazione; la p.c. gli aveva risposto che non avrebbe più parlato con lui ed era rientrato frettolosamente in azienda.

Precisava La. di aver sempre intrattenuto buoni rapporti con il giudicabile, tanto da non riuscire a spiegarsi un simile comportamento, e che l’arma era di colore nero e grande una ventina di centimetri.

La. aveva avuto paura, tanto da aver chiamato a gran voce il suo superiore, Mo.Lo., che era accorso subito.

L’arma la aveva scorta già “nella prima minaccia”, allorché il Di. gli aveva detto: “Vedi? Vedi?” per mostrargliela. “Io già mi ero reso conto che era una pistola (…) Perché luì ha ribadito di nuovo: “Hai capito? Aggiustate le cose per Natale. Per Natale dovete aggiustare le cose, sennò non ci arrivate!”. E ha riaperto il borsello e lì sono sbiancato, sono… Non capivo più niente, insomma. E avevo paura… gli ho solo detto: “Con te non parlo più” e mi sono girato di lato e avevo paura che la estraesse. Lì avevo paura che la estraesse”, anche se poi l’arma non era stata estratta dal borsello.

Nella medesima udienza veniva escusso il teste Mo.Lo., presente il giorno del fatto, il quale, però, non aveva visto l’arma in questione, poiché era sopraggiunto dopo le minacce.

Riferiva che La. gli era apparso “sconvolto e impallidito. Tant’è che io pensavo che era successo qualcosa a lui personalmente, perché non pensavo a una cosa del genere. Pensavo che avesse ricevuto qualche telefonata dall’esterno, perché non l’ho mai visto così”.

E tuttavia, Mo. ribadiva di non aver assistito alle minacce di Di., poiché era sopraggiunto in un momento successivo e si trovava a distanza.

Precisava poi il teste che il giudicabile aveva creato problematiche sul lavoro, poiché “nell’inverno di quell’anno, non ricordo se febbraio o marzo, il La. mi aveva comunicato che c ‘era stato un episodio tra il Di. e un collega”. Ed ancora: “Con un altro collega era successo un episodio. Tant’è che, appena mi ha riferito, ci siamo incontrati con il collega che aveva avuto, subito questa violenza. E a dire la verità, lui ci ha riferito che aveva ricevuto uno schiaffo da questa persona, dal Di.. E però quando noi gli abbiamo chiesto: “Allora possiamo fargli la contestazione?”. Lui praticamente ci ha implorato: “Lasciamo stare, perché mi dispiace, c’ha famiglia, non andiamo avanti”. Aggiungeva, altresì, Mo. che Di., all’epoca dei fatti, si trovava in ferie, poiché impegnato con un ricorso riguardate la propria mansione lavorativa, in attesa dell’esito giudiziale.

Sempre nella medesima udienza veniva escusso il teste Re.Ma., addetto all’ufficio del personale nell’azienda dove lavorava Di., il quale ricordava l’episodio del 21.11.2018, precisando che il giudicabile “era da molti mesi fuori in malattia. Se non sbaglio, aveva fatto un intervento chirurgico, era stato parecchi mesi fuori. Al termine della Mattia, per rientrare è stato… Chiaramente è stato sottoposto a visita medica di rientro presso il modico competente dell’azienda. La stessa mansione delle precedenti. È risultato idoneo soltanto ad una mansione, la mansione di gruista o non a quella che aveva anche in passato, di addetto al carico. Lui subito, quando prende il certificato, insomma non era contento di questo esito, riteneva di non poter fare questa mansione. E infatti avviò subito un procedimento presso l’A.S.L. per impugnare il giudizio di idoneità, insomma. Quindi impugno questo. Venne a lavorare qualche giorno, insomma non ricordo, lavoricchiò un po’. Poi andò in infortunio, un infortunio che c’era stato anche minacciato qualche settimana prima, un infortunio poi non riconosciuto dall’Inail, trasformato in malattia. Dopo di che, è stato convocato in direzione, se non mi sbaglio, a metà novembre, per avere confronto, un chiarimento, insomma, per capire cosa… Come saremmo dovuti andare avanti. E lui era insofferente a questa mansione. Però, chiaramente, insomma, dovevamo aspettare il giudizio di idoneità del medico e nel frattempo si dava corso a quanto aveva detto il medico aziendale, cioè che poteva fare effettivamente quella mansione. Niente, quindi in quell’occasione ci fu un incontro, ci fui io in qualità di addetto del personale, c’era la direzione di stabilimento, c’era il preposto di Di., c’era Di. stesso. E gli disse, insomma, che se non voleva lavorare, se non voleva lavorare in quella postazione, poteva aspettare il giudizio che la A.S.L. avrebbe dato da lì a poco, quindi massimo entro metà dicembre; altrimenti, se non riusciva proprio a lavorare, poteva mettersi in malattia, se il medico riteneva che la sua patologia fosse tale da non prendere lavoro, oppure mettersi in ferie. Lui si mise in ferie, si mise in ferie, perché diceva che la malattia gli faceva perdere dei soldi. E basta, insomma, quindi poi si mise in malattia e non l’ho più visto da quel giorno”.

Questa, dunque, la pregressa situazione lavorativa del giudicabile, come riportata accuratamente dal teste.

Re. aggiungeva che comunque, all’esito del colloquio, i rapporti con Di. erano normali e che quest’ultimo aveva riportato il giudizio di inidoneità con prescrizione a causa di due interventi subiti alle anche.

All’udienza del 20 febbraio 2023 veniva escusso il teste della difesa, Do.Fe., amico e collega di Di., il quale riferiva di essere a conoscenza dell’episodio della pistola e che la mattina del fatto aveva incontrato il giudicabile: “Ci siamo salutati come sempre, ci siamo messi a scherzare, e poi siamo usciti fuori a fumarci una sigaretta”. Aggiungeva che il giudicabile, quel giorno, indossava il marsupio che portava sempre con sé, che conteneva la macchinetta per l’insulina e il tabacco per le sigarette, che, peraltro, era stato poggiato sulla sua scrivania e che il teste aveva preso e spostato, senza accorgersi della presenza di un’arma.

Aggiungeva che Di. era venuto in azienda per parlare con La. del suo rientro al lavoro; il medico aziendale, dopo la malattia, gli aveva assegnato la stessa postazione di prima e il giudicabile sosteneva di non riuscire più a svolgere quella mansione. Do. spiegava di non aveva assistito alle minacce e di aver appreso i fatti in un secondo momento, precisando che La., dopo l’episodio, si era chiuso nel suo ufficio senza dire nulla, per poi riferire l’accaduto un paio di ore dopo, in stato di agitazione. Successivamente Di. aveva riferito a Do. che erano venuti i Carabinieri a casa sua poiché la p.c. lo aveva denunciato.

Aggiungeva il teste di non essere a conoscenza di un eventuale possesso di armi da parte del giudicabile e di non averlo mai visto in possesso neppure di un’arma giocattolo. Nella medesima udienza veniva escussa la teste Me.An., moglie di Di., la quale riferiva che il marito non aveva mai avuto la disponibilità di un’arma, neppure momentanea, e neppure aveva mai acquistato pistole giocattolo per i loro figli. Aggiungeva che Di. assumeva tanti farmaci, era portatore di boiler ed era diabetico-insulino dipendente; portava sempre con sé un borsello dove teneva anche il tabacco, le chiavi di casa e i telecomandi dei cancelli, di colore nero e della misura di un cellulare. Precisava che, quando erano giunti i Carabinieri a casa loro, la figlia aveva pianto per tutto il tempo e che la perquisizione era stata effettuata anche nelle case in campagna, dando anche lì esito negativo.

A detta di Me., il marito aveva sempre avuto “un rapporto bellissimo” con La., tanto da aver ricevuto frequenti visite da parte di quest’ultimo quando si trovava ricoverato in ospedale.

La teste confermava che il marito, dopo la malattia, si era visto assegnare la medesima mansione di prima e che la mattina del fatto si era recato in azienda per parlare di lavoro. L’unico ad avere il porto d’armi in famiglia era il suocero, che abitava sempre a Guardia Perticara, e che possedeva dei fucili, chiusi in una cassaforte.

Aggiungeva la donna che il marito non le aveva mai riferito di voler risolvere il suo problema lavorativo “entro Natale” e neppure capiva perché La. lo avesse denunciato. Tale, dunque, il contributo dell’istruttoria orale.

All’udienza del 31 gennaio 2022 veniva acquisita la denuncia querela sporta da La. ai fini probatori, che consente una compiuta ricostruzione dei fatti.

Nello specifico, in data 28.09.2018, Di. era stato sottoposto a visita periodica e il medico competente, il dottor Gi.Br., lo aveva dichiarato idoneo alla mansione specifica con imitazioni e prescrizioni: “Adibire esclusivamente alla mansione di Cruise, non impiegare nella fase di addetto al carico. Obbligo di ortoprotettori”. Tale certificato, come previsto dalle norme di legge, era stato consegnato al giudicabile in data 25 ottobre 2018 ed in detta circostanza Di. aveva rappresentato la propria contrarietà a tale giudizio, dichiarando che, ove fosse stato adibito in tale posizione, si sarebbe messo in malattia. Infatti, il giorno seguente, dopo aver lavorato per circa un’ora sul carroponte, aveva chiesto l’intervento del 118 e si era recato al pronto soccorso del locale nosocomio, ove gli era stata diagnosticata una lombosciatalgia ed inabilità temporanea al lavoro dalla suindicata data fino al 12 novembre 2018.

Il querelante aggiungeva di essere a conoscenza del ricorso presentato dall’imputato verso il giudizio di idoneità alla mansione specifica e che, in data 14 novembre 2018, Di. aveva ripreso l’attività lavorativa con la mansione di gruista; allo stesso tempo, “si era cercato di trovare una mansione lavorativa alternativa”, purtroppo con esito negativo ed il lavoratore era stato convocato per fare il punto della situazione.

Al colloquio avevano presenziato anche i signori Mo.Co., Mo.Lo., Re.Ma.: “Consapevoli della difficoltà in cui il signor Di. Si stava trovando, si consigliava di prendere un periodo di malattia e/o ferie In attesa di conoscere l’esito del ricorso verso il giudizio del medico competente presentato in data 9 novembre 2018, il cui esito, presumibilmente, si sarebbe conosciuto non più tardi della prima settimana del mese di dicembre”.

Aggiungeva poi il querelante di avere incontrato il giudicabile all’interno dell’ufficio sito in rione Betlemme-zona industriale presso lo stabilimento Fe. S.p.A., di averlo salutato e di essersi recato nella sua stanza “ove quest’ultimo mi raggiungeva, e scambiavamo testualmente le seguenti battute: “ci sono novità Ro.? No, nessuna novità”. A quel punto l’imputato gli aveva rappresentato la necessità di parlargli e, giunti all’esterno dello stabilimento, gli aveva detto che il consiglio di mettersi in malattia era stato una minaccia e non un consiglio a fin di bene.

A quel punto, Di. aveva aperto il borsello nero e profferito le minacce di cui in imputazione, dicendo che lo avevano esasperato e che “dovevano aggiustare le cose, sennò non arrivavano a Natale”.

Vi è poi in atti il verbale di sommarie informazioni rese da Mo.Lo. in data 10.02.2019 dinanzi ai Carabinieri di Potenza, dal quale si evince che in data 23.11.2018, in mattinata, si era recato presso “l’ufficio spedizioni prodotto finito dello Stabilimento di Potenza, per delle verifiche sulle lavorazioni come da prassi. Presso il predetto ufficio ho incontrato il sig. La., il quale mi informava che avrebbe di lì a poco incontrato il sig. Di. perché questi gli aveva chiesto un colloquio. Preso atto della cosa, gli dicevo di farmi sapere cosa il Di. voleva dire e mi sono allontanato per tornare presso il mio ufficio. Dopo essermi spostato di circa duecento metri ed essermi intrattenuto a salutare alcuni colleghi, mi sono sentito chiamare alle spalle dal La., il quale urlava di raggiungerlo. Poiché l’atteggiamento del La. era anomalo, mi sono precipitato da lui e ho notato da subito che era sconvolto e pallido in viso. Appena avvicinatomi il La., con voce tremante, mi ha detto che il Di. lo aveva minacciato con una pistola che ha aveva in un borsello. A tal proposito, il La. mi ha detto di aver visto chiaramente all’interno del borsello tenuto dal Di. una pistola di colore nero e che il Di. ha ostentato l’arma per intimorirlo. Mentre La. mi raccontava cosa gli era accaduto, sia io che il La. abbiamo notato il Di. che si allontanava a bordo della sua auto”. Dell’accaduto era poi stato informato anche il direttore, Dott. Co.Mo.. All’udienza del 20 febbraio 2023 la difesa depositava fascicolo fotografico consistente in foto n. 4 ritraenti lo stato dei luoghi dove si sono svolti i fatti.

Infine, all’udienza del 27 novembre 2023 la difesa depositava pronunciamento di estinzione del processo emesso dal Tribunale di Potenza, sez. lavoro, nei confronti del ricorrente, Di., e della parte resistente, il Dott. Mo., in qualità legale rappresentante della ditta, poiché era stata accettata la proposta conciliativa, con corresponsione, a favore di parte ricorrente, dell’importo di euro 14.000 netti a titolo di incentivo all’esodo ed euro 3.000,00 netti a titolo di transazione generale omnia.

Questa, dunque, la piattaforma probatoria complessivamente emersa in dibattimento. Per ciò concerne le prove dichiarative ed il contributo reso il contributo reso dalla escussa parte civile, devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative rese da persone non estranee rispetto alla vicenda processuale.

Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, in tema di valutazione della prova penale, la prova dichiarativa acquisita dalla persona offesa, soprattutto se costituitasi parte civile, esige un vaglio particolarmente rigoroso, mediante riscontro intrinseco ed estrinseco del narrato, atteso che, in tal caso, essa vanta una specifica pretesa economica, alla restituzione e al risarcimento del danno, la cui soddisfazione discende dall’accertamento della responsabilità dell’imputato. Dunque, solo “ove la persona offesa non si sia costituita parte civile, le sue dichiarazioni devono ritenersi a maggior ragione da sole sufficienti a fondare l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, purché siano valutate con il particolare rigore richiesto dall’orientamento dominante in sede di legittimità e sempre che dall’esame critico delle risultanze processuali, che il giudice di merito deve pur sempre compiere ai fini della verifica della credibilità personale della persona offesa e dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, non emergano risultanze processuali in grado di smentirle, cioè di inficiarne il contenuto rappresentativo” (Cass. pen., sez. V, ud. 9 aprile 2021 (dep. 19 luglio 2021), n. 27892).

Applicando al caso di specie le esposte regole di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo alcuno di dubitare dell’attendibilità della testimonianza resa dalla p.c., La.Fa., stante la assenza di incongruenze e di altri vizi logici che possono inficiare la prova orale.

AI contrario, l’escusso predetto ha offerto un narrato estremamente dettagliato e circostanziato, collimante con quanto esposto nella pregressa denuncia querela.

Tuttavia, le informazioni veicolate da La. e relativa alla dinamica dei fatti ed al tenore delle minacce ricevute rendono necessario un pronunciamento assolutorio per tenuità del fatto nei confronti di Di.

Così come, tali informazioni veicolate non sono sufficienti a radicare un pronunciamento di condanna a carico di Di. per ciò che concerne la fattispecie p. e p. dall’art. 47 1. 895/67, stante l’assenza di riscontri esterni e di voci testimoniali concordi con la versione fornita dalla p.c. ed in grado di suffragare la tesi accusatoria.

Ai contrario, gli altri testi escussi hanno negato di aver visto Di. in possesso di armi, anche giocattolo e addirittura Do. riferiva di aver toccato e spostato il marsupio del giudicabile il giorno del fatto, senza tastare qualcosa di strano e senza avvertire pesi aggiuntivi che inducessero a ritenere il trasporto di un’arma.

Al di fuori di La., evidentemente in stato di agitazione a tal punto forte da fargli confondere il contenuto del borsello di Di. per una pistola, nessuno ha dichiarato in dibattimento di aver visto l’imputato trasportare con sé un’arma.

Le altre voci testimoniali hanno negato la disponibilità o il trasporto di armi da parte del giudicabile, il quale, invece, era solito portare con sé il tabacco, la macchinetta per l’insulina e, tra gli altri effetti personali, due telecomandi delle dimensioni di un cellulare che aprivano i cancelli delle case in campagna.

Non si può escludere, dunque, che La. sia stato tratto ingannato dalla presenza dei predetti telecomandi, che facevano capolino dal borsello semi-aperto, e si sia convinto che si trattasse di un’arnia.

Del resto, le perquisizioni effettuate dai’ Carabinieri alla residenza del Di. ed alle case in campagna (una di proprietà del suocero) hanno dato esito negativo. In assenza di ulteriori contributi testimoniali o di elementi di riscontro in grado di integrare il quadro probatorio, non può, dunque, affermarsi con certezza la sussistenza della fattispecie contestata.

Tutto ciò premesso, l’imputato va assolto dal predetto reato con formula dubitativa perché il fatto non sussiste.

Per ciò che concerne la fattispecie ex art. 612 c.p., a parere di questa A.G. la stessa può ritenersi integrata, poiché appare credibile, plausibile il resoconto della p.c., che rappresentava di aver subito minacce dal giudicabile “esasperato” dalla vertenza lavorativa in corso.

Minacce che, tuttavia, risultano, allo stato, solo verbali, non essendovi prova certa del trasporto di un’arma a scopo intimidatorio.

La gravità delle stesse è emersa, oltre che dalla deposizione attendibile e credibile della parte civile costituita, altresì dalle deposizioni degli altri testi escussi che vedevano la persona offesa visibilmente spaventata a seguito dell’incontro con l’imputato.

Ritiene, tuttavia, questo Giudice che il giudizio di responsabilità debba essere operato solo a seguito di un’attenta e complessiva valutazione della condotta; valutazione che non può non condurre a ritenere assolutamente modesta l’offesa arrecata ai beni giuridici protetti dalle norme violate, stante anche l’assenza di precedenti a carico dell’imputato. Dunque, il fatto, in sé considerato, nella sua materialità e dinamica, non desta particolare allarme sociale, trattandosi di episodio isolato e di minaccia posta in essere solo verbalmente, non essendo emersa prova dell’utilizzo dell’arma da parte dell’imputato. Tutti questi elementi, Ietti unitamente, fanno senz’altro propendere per la modesta entità dell’offesa arrecata ai beni giuridici tutelati, ragione per cui non può che pronunciarsi sentenza di assoluzione dell’imputato, non punibile ai sensi dell’art. 131 bis c.p. per la fattispecie di cui all’art. 612 c.p.

Quanto alla domanda risarcitoria avanzata dalla costituita p.c., la stessa appare meritevole di accoglimento, in ragione dell’esistenza di un danno patrimoniale e non cagionato alla persona offesa per effetto delle condotte poste in essere dai giudicabili. Pertanto, l’imputato va condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, non essendo possibile in questa sede determinarne il preciso ammontare, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per la costituzione in giudizio, che liquida in euro 2.120,000, oltre iva, epa e rimborso forfettario come per legge, come da protocollo vigente adottato.

Da ultimo, la previsione del più ampio termine per il deposito dei motivi è giustificata dal carico di ruolo che grava questo Giudice.

P.Q.M.

Letti gli artt. 530 c.p.p., e 131 bis c.p.,

assolve l’imputato Di.Ro. dal reato di cui all’art. 612 c.p. poiché non punibile per particolare tenuità del fatto.

Letti gli artt. 538 ss. c.p.p. condanna l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per la costituzione in giudizio, che liquida in euro 2.120,000, oltre iva, epa e rimborso forfettario come per legge.

Letto l’art. 530 comma 2 c.p.p.,

assolve l’imputato dal reato di cui all’art. 47 l. 895/67 perché il fatto non sussiste.

Motivi in giorni trenta.

Così deciso in Potenza il 27 novembre 2023.

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